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Partendo dalla Sea Watch, come abbiamo lasciato le chiavi del paese a un ministro ignorante


Più notizie leggo sulla Sea Watch, più informazioni arrivano, più video e interviste vedo, e più il mio corpo e la mia mente sono invasi da sensazioni di rabbia, incredulità, sconforto, rassegnazione. Abbiamo torturato delle persone per due settimane, costringendole a stare su una nave, al caldo, senza potersi muovere, tutto perché il ministro dell’interno è in preda a un delirio e oggi, in Italia, la legge è il delirio del ministro dell’interno. 

Abbiamo costretto il capitano della nave, una ragazza tedesca più giovane di me, ad infrangere le leggi ingiuste che il delirio degli ultimi governi sull’immigrazione ha prodotto, per non dover infrangere quella legge morale superiore a tutte che impone di cercare salvezza per degli esseri umani in difficoltà, quando è così a portata di mano. 

La domanda grave e opprimente che mi attanaglia è: come siamo arrivati a questo? Cos’è che non ha funzionato? Mi sono imposto di cercare di lasciare da parte la rabbia, il senso profondo di ingiustizia e di impotenza che le immagini della Sea Watch e le reazioni politiche mi generano e provare a capire cosa veramente sta succedendo in Italia. Perché se di fronte ad una scelta tanto semplice ed ovvia come quella di non far soffrire fino allo stremo altre persone se ce n’è la possibilità, il governo di uno degli stati più ‘avanzati’ del mondo decide, con convinzione, mettendoci tutte le proprie energie, di prendere la decisione chiaramente sbagliata, ingiusta e irrazionale, non si può non concludere che qualcosa non sta funzionando. Quel sistema per cui i popoli eleggono i propri rappresentanti che poi senza vincolo di mandato prendono decisioni nel rispetto della costituzione, del diritto e dei diritti, e delle proprie convinzioni, si è lampantemente inceppato. Quei meccanismi di vigilanza, del popolo, delle istituzioni, della stampa, delle opposizioni, del parlamento, delle più alte cariche dello Stato, che dovrebbero assicurare che le nefandezze del passato non si ripetano, in questo caso, e ormai in diversi altri casi, hanno smesso di funzionare. 

In questo incepparsi dei meccanismi democratici, il ministro dell’interno, che nel proprio curriculum vanta zero lauree, zero lingue parlate a parte l’italiano, zero mestieri svolti, ha ottenuto le chiavi del paese, senza meriti particolari, ma soprattutto per mancanze e colpevoli assenze di chi avrebbe dovuto impedirlo. Mi riferisco in particolare a:

  • i 5 stelle, che sono il partito di maggioranza nel governo (occorre ricordarlo), che hanno dimostrato tutta la loro pochezza e mancanza di strategia, offrendo le luci del palcoscenico all’alleato leghista rimanendone completamente oscurati;
  • all’opposizione (il PD) che si è impegnata a fondo a non fare niente, a morire di lotte interne, ad eleggere un segretario con zero carisma e poche idee nuove, che fa un passo a favore della Sea Watch solo dopo due settimane, scansandosi senza lottare di fronte alla destra radicale che si prende il paese, celebrando come fosse una vittoria l’ultimo risultato elettorale che la vedeva seconda a 15 punti dalla Lega;
  • al presidente del governo non è riuscito mai a far valere la propria posizione, sempre che ne avesse una, sempre che fosse vero che il suo cuore batteva a sinistra.
  • al presidente della repubblica, semplicemente non pervenuto.
Tutto questo vuoto di potere, di competenze, di idee, di azione, ha permesso a Salvini di emergere, sfruttando un certo carisma e certe capacità mediatiche, di cui sicuramente è dotato, senza però avere altri meriti da sbandierare. Ed è proprio nell’aggettivo mediatico che sta, secondo me, il principale problema, il tassello chiave, che più degli altri ha fatto pendere la bilancia dalla parte del ministro degli interni. E ancora una volta, secondo me, sono più i demeriti dei mezzi di comunicazione italiani, rispetto ai meriti del ministro dell’interno. 

Le capacità mediatiche di Salvini sono quelle di esserci sempre, di commentare sempre, di avere sempre qualcosa da dire, di dirlo nella maniera più diretta e più semplice possibile. La ‘capacità’ più grande, che mette in luce tutta la sua ignoranza da bullo cafone, è quella di apparire sempre con il sorriso sulle labbra, deridendo apertamente gli avversari, che siano membri del governo grillini, parlamentari dell’opposizione, giornalisti critici, capitani di navi che salvano vite. Il ministro dell’interno, in preda al suo delirio sporco, alla sua concezione della politica come arma per ferire gli avversari, c’è sempre ed è sempre così: sorridente, con messaggi semplici, sempre incazzato con qualcuno, mandando bacioni denigranti, umiliando. Poco importa se quello che dice rispecchia la verità o la realtà degli eventi, poco importa se mette in fila una cavolata dietro l’altra, una bugia dietro l’altra, se questo serve a raggiungere lo scopo di denigrare ed umiliare gli avversari. 

Dove sta il problema? Per come la vedo io sta nel modo che ha la stampa di raccontare il ministro dell’interno. La stampa, mi riferisco soprattutto ai giornali online, anche (o forse soprattutto) a quelli progressisti, racconta Salvini in modo neutro, ne riprende le parole, ne trasmette i video, come se il suo compito fosse solo quello di riportare quello che i politici dicono. La stampa italiana cerca su facebook o twitter i video e i commenti dei politici e li ritrasmette, in modo neutro. Il problema è che Salvini parla e fa video in continuazione. Come conseguenza, è sovra-rappresentato sui media italiani. Ieri sera, prima che la Sea Watch forzasse il blocco ed entrasse in porto, ho contato le volte che le parole Salvini, di Maio, Zingaretti, apparivano sulla prima pagina di molti giornali online (Repubblica, il Corriere, la Stampa, il Fatto, il Giornale, Libero, il Foglio, il Manifesto, il Post, Linkiesta). Risultato totale: Salvini 36, di Maio 15, Zingaretti 2. Questo è un risultato abbastanza riproducibile nel tempo, ne sto tenendo il conto nelle ultime settimane e Salvini è sempre il più presente. 

A fronte degli articoli, dei video, dei titoloni che parlano di Salvini, gli articoli, i video, i titoloni, in cui si evidenzia l’inconsistenza delle sue posizioni, il delirio di cui è vittima, le bugie che continuamente racconta, le verità che continuamente omette, sono troppo pochi. Il compito della stampa non dovrebbe essere solo quello di riportare fedelmente quello che i politici dicono, ma quello di confutarne le menzogne. Non riportare fedelmente, ma fedelmente far emergere la verità. Altrimenti si incorona Salvini re dei bulli, uomo forte in un paese debole. 

I giornali progressisti dovrebbero smettere di raccontare il ministro degli interni in modo neutro. Lo dovrebbero raccontare come merita: un ignorante spaccone non all’altezza di governare. Ma non per fargli perdere consensi alle prossime elezioni, per il dovere supremo della stampa: raccontare la verità. Non si può semplicemente riportare, senza criticare, un video in cui il ministro dice che la capitana della Sea Watch “mette a rischio decine di vite per uno schifoso giochino politico”. Bisogna avere la lucidità (non ne serve nemmeno troppa) per dire: Salvini racconta bugie, Salvini travisa la realtà, Salvini racconta l’opposto della verità, la capitana vuole salvare vite, quello che fa giochini è il ministro. E poi, che decidano gli italiani alle prossime elezioni. Ma almeno lo faranno in un clima in cui la stampa ha cercato di dar loro le informazioni necessarie per scegliere bene. 

L’ultimo problema è il popolo italiano. Il popolo che si beve tutto, che vota in massa Salvini per aver torturato delle persone. La soluzione di questo problema è più complicata, e meriterebbe altri studi. Mi limito per adesso ad esortare i media a cambiare direzione, il loro compito è raccontare la verità, anche e soprattutto, andandola a cercare dietro le bugie dei politici.

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